Primi piatti stellati: 5 storie e ricette iconiche
La pasta è uno dei simboli gastronomici e culturali del nostro Paese, e su questo non c’è nessun dubbio e nessuna grandiosa scoperta. Chi si interroga un po’ di più si sarà certamente chiesto come la pasta sia diventata così popolare. La risposta è nel suo basso valore economico e nel suo alto potere saziante. Come spesso accade nella cucina di un territorio, si parte quindi da necessità nutritive per poi arrivare, tramite l’evoluzione culturale che comprende numerosi fattori, a preparazioni più complesse che diventano poi simboli e ricette iconiche. Questa premessa per dire che i primi piatti stellati sono frutto di un risultato che parte da radici umili e rurali che vedevano arrivare in tavola la pasta condita solo con un filo d’olio e con qualche verdura dell’orto.
Oggi la pasta è ancora al centro delle nostre abitudini alimentari, ma la si trova anche nei menu dei più celebri ristoranti stellati e questo lo dobbiamo certamente al maestro Gualtiero Marchesi. Il Motivo? Lo scopriremo insieme in questo viaggio tra i primi piatti stellati che con la loro storia e le loro ricette hanno fatto la storia della cucina italiana di alto livello. Ma prima di imbarcarci verso queste isole di gusto, vale la pena sottolineare che, come accade nella moda e nel design, tutto quello che parte dalle cucine cosiddette gourmet, arriva poi nelle tavole delle nostre case.
5 primi piatti stellati che hanno fatto la storia
1. Il raviolo aperto di Gualtiero Marchesi
Dopo il primissimo periodo del dopoguerra, l’Italia conobbe un momento più prospero e libero da quelle ristrettezze che, anche a tavola, avevano messo in ginocchio un’intera popolazione per anni. Nei ristoranti le paste e i primi piatti erano infiocchettate con carni e intingoli in porzioni generose quasi a voler tirare uno schiaffo a quello che era stato uno dei momenti più bui della nostra storia. Guai a toccare le ricette della tradizione però. Così, nel 1982, Gualtiero Marchesi, lo chef milanese famoso per il suo risotto con la foglia d’oro, destutturò il raviolo che per molti fu una provocazione contro la cucina della tradizione. Ma Marchesi, e questo a distanza di anni lo possiamo affermare con certezza, dimostrò che più che la destrutturazione di un formato di pasta, quella sua idea denotava un valore ben più grande, l’apertura mentale.
L’ispirazione la trovò dopo un pranzo in una trattoria in cui i tortelli che gli erano stati serviti erano fatti in modo sbagliato e arrivarono aperti nel piatto. Così penso a questa nuova presentazione del raviolo in un Paese in cui l’evoluzione e la creatività culinarie erano vissute come una bestemmia.
Il raviolo aperto di Marchesi era composto da due sfoglie di pasta, una agli spinaci e una all’uovo che accoglievano le capesante saltate nel burro dal cui fondo si ricavava una salsa impreziosita dallo zenzero. Capite da soli che all’epoca questa proposta non era innovativa, ma parlava una lingua completamente nuova difficilmente comprensibile. Quella del raviolo aperto rappresentò una svolta radicale che fece di Marchesi il primo chef italiano a guadagnare tre stelle Michelin.
2. I Paccheri di Da Vittorio della famiglia Cerea
Può un piatto di famiglia diventare uno dei primi piatti simbolo di un’intera nazione? La risposta è sì e ce lo dimostrano gli iconici paccheri alla Vittorio della famiglia Cerea. Per festeggiare il loro venticinquesimo anno di matrimonio, Bruna e Vittorio Cerea portarono i figli a Disneyland ad Orlando (Florida). Durante quell’esperienza Vittorio Cerea si trovo a mangiare in un ristorante del parco dei divertimenti delle tagliatelle in bianco mantecate al tavolo. Cerea tornò in Italia e trasformò questo piatto secondo la sua visione di cucina cambiando formato di pasta e condimento, ma lasciando l’esperienza interattiva al tavolo dei commensali. Tre tipi di pomodoro sono la firma di questo piatto così semplice eppure così ricco di carattere che, ancora oggi, viene preparato e servito nello stesso modo.
3. Il risotto bianco con polvere di caffè e capperi di Pantelleria di Massimiliano Alajmo
Nonostante la presenza del caffè e dei capperi panteschi, questa ricetta è l’esito del genio di un cuoco veneto. Massimiliano Alajmo ebbe l’intuizione nel 1997 di stravolgere quelli che fino a quel momento erano considerati gli accompagnamenti classici (e gli unici utilizzati) del risotto. Erbe, frutti di mare, verdure e zafferano erano gli ingredienti che satellitavano intorno al risotto all’italiana. Ma chef Alajmo, dopo aver assaggiato i capperi di Pantelleria, si rese conto che al suo palato risultavano dolci e salmastri ma che avevano anche un’altra nota più intensa e profonda. Quando si ritrovò a dover preparare un risotto per suo fratello, titolare di una torrefazione nel veronese oltre che alla gestione del ristorante di famiglia, ebbe l’illuminazione di aggiungere la polvere di caffè. Il risultato? Questo piatto è diventato uno dei piatti iconici de Le Calandre e una delle ricette di ispirazione per una nuova era del risotto in Italia.
4. Rigatoni cacio e pepe in vescica di Riccardo Camanini
È del 2014 questa ricetta di chef Camanini che è stato anche allievo di Gualtiero Marchesi. Durante un’esperienza in Inghilterra, Camanini lesse un libro scritto intorno al 1500 dall’allora cuoco del Papa e scoprì che già gli antichi romani erano soliti cuocere alcune pietanze all’interno di organi animali. Gli esperimenti sono stati tanti, ma dopo innumerevoli tentativi ecco che Riccardo Camanini ha prodotto uno dei piatti iconici di questo secolo. La pasta viene cotta al vapore all’interno della vescica di maiale. Formaggio e pepe stanno all’interno e la vescica regala un sapore che ricorda quella della gricia che però viene preparata con il guanciale. Sapore intenso, manteca perfetta e effetto visivo sorprendente dato che questo primo piatto viene servito al ristorante (Lido 84) nella vescica che nell’aspetto ricorda un palloncino. Questo contenitore viene sbattuto energicamente davanti ai commensali affinché la pasta si mantechi con gli altri ingredienti, viene forato e la pasta viene servita. Un’esperienza di gusto unica che vale la pena di essere vissuta almeno una volta.
5. Cappelletti al cinghiale e brodo di prugne di Antonia Klugmann
Chef Klugmann, ha lasciato gli studi di giurisprudenza a Trieste per seguire la carriera da chef. La sua è una cucina avanguardista che trova ispirazione nel territorio in cui vive (Friuli Venezia Giulia), nelle sue esperienze e nelle abitudini ataviche. Questo piatto è la rappresentazione dell’equilibrio in accostamenti che fino a prima di essere messi nel piatto sembravano impossibili. Questi cappelletti sono farciti con la carne di un cinghiale selvatico autoctono che viene poi frullata con la panna. Il brodo che accompagna questa pasta ripiena è di un rosso vivo e acceso che ricorda il colore del pomodoro. Si tratta in realtà di un brodo di prugne mature del frutteto adiacente al ristorante L’argine a Vencò. La ricetta, del 2016, è diventata delle preparazioni iconiche della chef che è nota per mettere in equilibrio elementi tradizionali con note innovative e visionarie.