Sanguinaccio senza sangue? Ora si fa così
Il sanguinaccio napoletano è nato come dolce a base di sangue di maiale, eppure oggi non è più così: scopriamo la sua storia e perché è diverso da quello che si mangia al Nord.

In Campania, ma anche in altre zone del Sud, il sanguinaccio napoletano è una tradizione gastronomica, una ricetta che si tramanda di generazione in generazione. Il nome particolare suggerisce che si tratta di un dolce che, in un modo o nell’altro, ha a che fare con il sangue. Un ingrediente che oggi fa gridare allo scandalo, ma che un tempo era usuale. Ripercorriamo la storia di questa prelibatezza, dalle origini ai nostri giorni, e scopriamo perché non si utilizza più il liquido ematologico e con cosa è stato sostituito.
- La storia del sanguinaccio napoletano
- Sanguinaccio dolce e sanguinaccio salato: attenzione a non confonderli
La storia del sanguinaccio napoletano
Il sanguinaccio napoletano, anche se qualcuno storce il naso al solo sentirlo nominare, è uno dei piatti tipici della gastronomia italiana, napoletana per essere esatti. Si consuma soprattutto nelle regioni del Sud (Campania, Basilicata e Calabria in primis) e ha un sapore davvero particolare, che difficilmente lascia indifferenti. Solitamente le reazioni al primo assaggio sono due: piace o non piace. Non esistono vie di mezzo. Prima di scoprire perché, ripercorriamo la sua storia.
Si chiama sanguinaccio proprio perché, un tempo, si preparava con il sangue del maiale. Questo animale si uccideva e si uccide ancora oggi in pieno inverno, secondo la tradizione contadina a ridosso di Sant’Antonio Abate, festività che si celebra il 17 gennaio. Il motivo è presto detto: macellando i suini nei giorni vicini alla celebrazione del Santo, protettore degli animali, delle campagne, delle fattorie e dei contadini, si ottiene la sua benedizione. Non dimentichiamo, poi, che il religioso è sempre raffigurato in compagnia di un maiale.
L’uccisione dell’animale, all’epoca considerata un vero e proprio rituale, era un momento comunitario molto importante. Tutti, grandi e piccini, avevano un ruolo. Del maiale, ovviamente, non si buttava via niente, compreso il sangue. Dopo la macellazione, il liquido ematologico veniva subito mescolato per evitarne la coagulazione, poi filtrato e messo da parte. Ed è proprio in una di queste occasioni che qualcuno inventò il sanguinaccio, ossia il sangue mescolato a una crema a base di cacao, zucchero, cannella, chiodi di garofano e uva passa.
Si otteneva così un composto delizioso, speziato e piuttosto denso, perfetto per essere consumato al cucchiaio, proprio come un tiramisù, oppure per intingere biscotti. Considerando che Sant’Antonio dava e dà il via al Carnevale, in Campania pensarono bene di utilizzarlo per immergere le chiacchiere. Questa tradizione è andata avanti pressoché immutata fino al 1992, quando la vendita del sangue di maiale è diventata illegale perché potrebbe causare infezioni importanti.
Anche se il veto impedisce l’uso del liquido ematologico, i napoletani si sono ingegnati per trovare un degno sostituto. Non avrebbero mai permesso di cancellare il sanguinaccio dalle tradizioni gastronomiche della città, così ancora oggi il dolce viene preparato dalle famiglie e venduto nelle pasticcerie.
La crema, nonostante sia senza sangue, continua a mantenere la sua consistenza setosa e a diffondere un profumo speziato unico nel suo genere. Ogni famiglia ha la sua ricetta, che non cederebbe per nulla al mondo, ma in linea di massima gli ingredienti sono: latte, cioccolato fondente, cacao amaro, zucchero, farina, liquore (o vino cotto), arancia o cedro candito, cannella, chiodi di garofano, uvetta e noci. Il procedimento è simile a quello della cioccolata calda: bisogna mescolare e mescolare ancora per scongiurare grumi e ottenere un composto omogeneo. Ovviamente, come direbbero i napoletani, la "morte sua" sono le chiacchiere, ma in alternativa si può utilizzare qualunque altro biscotto.
Sanguinaccio dolce e sanguinaccio salato: attenzione a non confonderli
Il sanguinaccio napoletano non va assolutamente confuso con il sanguinaccio salato che si prepara con ricette più o meno simili in tutta Italia, specialmente al Nord e al Centro. In comune, oltre al nome, hanno una sola cosa: il sangue dal maiale. Mentre la prelibatezza campana è dolce e può tranquillamente essere paragonata a una crema, l’altro è un salume, una sorta di salame di colore scuro. Una precisazione è d’obbligo: il liquido ematico non si può vendere dal 1992, ma l’insaccato si trova tranquillamente in commercio. Questo è possibile grazie a una legge ad hoc che protegge tutti gli alimenti che vengono riconosciuti come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.).
Pertanto, il sanguinaccio si può vendere e consumare tranquillamente perché considerato un cibo che fa parte del tessuto socio-culturale nostrano. Bisogna avere una sola accortezza: mangiarlo obbligatoriamente entro le due settimane dalla produzione. Tornando a Bomba, anche se ogni regione dello Stivale ha una ricetta propria, il protagonista del salume resta sempre il maiale, con la sua carne, le interiora e il sangue. A cambiare sono soprattutto le spezie e gli altri ingredienti aggiuntivi, che ovviamente vanno a modificarne il sapore. In Piemonte e in Valle d’Aosta, ad esempio, si uniscono pane, patate, barbabietole e spezie. In Lombardia, invece, ci sono due versioni: il masapàn (ammazza pane), che ha un impasto di sangue, pane, spezie e formaggio grana, e il sanguignì, che si consuma dopo almeno tre mesi di essiccatura.
Spostandoci in Liguria, il salume si chiama berodu ed è arricchito con cipolle, pinoli, latte, sale e pepe, mentre in Toscana preferiscono aromatizzarlo con i semi di finocchio e uvetta. Particolarissima la variante pugliese, tra l’altro riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale della Puglia, in cui si mescola il sangue con il cervello di bovino o suino e poi si condisce con sale e pepe. Altrettanto gustoso è quello proposto nel Lazio, fatto con cuore, fegato, pancetta, guanciale e pancreas del maiale insaporiti con sangue, sale, peperoncino, pepe e finocchio selvatico.
Anche se l’Italia è la patria del sanguinaccio sia dolce che salato, la versione ‘insaccato’ è diffusa anche in altre zone del mondo, come: Spagna, Francia, Finlandia, Germania, Regno Unito, Irlanda ed Estonia. Senza ombra di dubbio, quello più famoso è il black pudding britannico, noto anche come sanguinaccio scozzese. Si realizza con sangue e grasso di maiale, avena e un mix di erbe aromatiche. Generalmente, si mangia crudo, bollito o arrosto, ma avendo un sapore piuttosto forte si accompagna a uova, salse o contorni che ne smorzano un po’ il gusto.
In Finlandia, invece, si prepara con il sangue di maiale, pecora, agnello, mucca o anatra, mescolato con cereali locali, cipolle e spezie. Il tutto, viene poi infilato nel budello di suino. Questa prelibatezza, dal gusto deciso, si chiama mustamakkara e si mangia calda con una confettura di mirtilli rossi. Ultimo sanguinaccio estero che merita una menzione è spagnolo: morcilla de Burgos. Caposaldo della gastronomia iberica, si ottiene con il liquido ematico del maiale, il riso e le cipolle dolci.