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Origine delle chiacchiere di Carnevale, tra Saturnalia e "voglie" della regina

L'origine delle chiacchiere di Carnevale, tra i Saturnalia dell'antica Roma e le voglie improvvise della regina Margherita di Savoia.

Origine delle chiacchiere di Carnevale, tra Saturnalia e "voglie" della regina

In Italia, ovunque si va, non è Carnevale senza le chiacchiere. Pur avendo tanti nomi (frappe, bugie, frappole, crostoli, galani, etc.), che variano in base alla regione in cui ci si trova, questi dolci carnascialeschi si preparano utilizzando sempre gli stessi ingredienti. Ma vi siete mai chiesti chi li ha inventati o di quale zona del Paese sono originari? Ripercorriamo la loro storia, dalle leggende alle usanze che ancora oggi sopravvivono nonostante lo scorrere del tempo.

L’origine delle chiacchiere di Carnevale

Un dolce semplice, che si prepara con pochi ingredienti e si cuoce in un attimo: potrebbe essere questa una descrizione stringata delle chiacchiere di Carnevale. Queste poche parole, però, non basterebbero per trasmettere l’esplosione di gusto che si vive quando se ne mette in bocca un pezzettino. Appena si morde, la friabilità fa pensare a una pietanza semplice, forse banale, ma appena la lingua incontra l’impasto non si può fare altro che sgranare gli occhi e lasciarsi andare a un’esperienza gustativa che ha il sapore del passato. Niente di troppo sofisticato, un cibo lontano anni luce dalle mode gourmet tanto in voga negli ultimi tempi, ma il suo segreto è proprio questo: la semplicità.

Non a caso, per rintracciare le origini delle chiacchiere dobbiamo tornare indietro fino all’antica Roma, dove si celebravano i Saturnali, festa che possiamo considerare a tutti gli effetti progenitrice del Carnevale. Durante i festeggiamenti, che duravano sette giorni e coinvolgevano tutti i ceti sociali (perfino gli schiavi godevano di maggiore libertà), i banchetti e le feste in maschera erano all’ordine del giorno. Le donne, per sfamare tutte le persone che si riversavano in strada per abbandonarsi a un po’ di sano divertimento, preparavano le frictilia, ossia dei dolci fritti nel grasso di maiale. La prima testimonianza storica di questa prelibatezza la troviamo nel libro di ricette De re coquinaria di Apicio. Il gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I° secolo a.C. e il I° secolo d.C., le descriveva così: "Frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele".

Dai tempi dell’antica Roma a oggi, la ricetta delle chiacchiere è rimasta pressoché invariata. Le uniche differenze le possiamo trovare nella cottura con lo strutto, sostituito con l’olio di semi a causa della difficile reperibilità del grasso animale, e nell’uso del burro. Un’altra piccola variazione, che può cambiare da regione a regione, riguarda l’aggiunta di un liquore a scelta tra marsala, vin santo e alchermes. A differire, senza ovviamente impattare sul sapore del dolce, può essere anche la forma. In alcune zone d’Italia hanno la sagoma di un nodino, in altre di un papillon e in altre ancora di mascherine o stelle filanti. Per quanto riguarda lo spessore, che siano sottili o più corpose, poco importa, ciò che conta sono le bolle sull’impasto. Queste devono essere sempre presenti perché significa che la sfoglia è stata ‘stesa’ a regola d’arte.

La cottura, forse è anche inutile sottolinearlo, deve essere rigorosamente una: la frittura. Sicuramente non è un metodo salutare, ma alcune ricette non possono essere preparate altrimenti perché perdono il sapore che le contraddistingue. Ovviamente, ci sono persone che preparano le chiacchiere al forno per ottenere una prelibatezza più healthy, ma il gusto non è assolutamente paragonabile alle vere chiacchiere.

Anche se l’origine di questo dolce carnascialesco si deve ricollegare alle frictilia dei Saturnali, per i napoletani la realtà è un po’ diversa. In Campania, infatti, si crede che le chiacchiere siano nate per soddisfare una voglia della regina Margherita di Savoia. Secondo la leggenda, la sovrana trascorreva interi pomeriggi a discorrere con i visitatori che giorno dopo giorno si avvicendavano nei suoi salotti. Un giorno, presa da un’improvvisa voglia di dolce, o da un momento di calo di zuccheri, chiese al cuoco di corte Raffaele Esposito di prepararle qualcosa di particolare da sgranocchiare durante i colloqui. Lo chef ideò così le chiacchiere e le chiamò in questo modo proprio perché riservate a rifocillare gli ospiti della regina.

Quanti tipi di chiacchiere ci sono

Esistono tanti nomi per chiamare questi dolci tipici di Carnevale, anche se utilizzando chiacchiere si viene compresi ovunque ci si trovi. Giusto per fare qualche esempio: in Emilia Romagna si chiamano sfrappole, in Toscana cenci, in Umbria frappe, in Abruzzo e in Molise cioffe, in Piemonte bugie e in Sardegna maraviglias. Talvolta la ricetta può essere leggermente diversa, come accade in territorio sardo dove si preparano con l’acquavite filu ‘e ferru e vernaccia, mettendo nell’impasto lo strutto e usando l’olio per friggere, ma gli ingredienti base restano sempre gli stessi.

Pertanto, anche se ne esistono tante varianti – immerse nel cioccolato o nel miele, cosparse di zucchero a velo o addirittura con impasto colorato – le chiacchiere sono sempre un dolce unico. Una precisazione è d’obbligo: frappe, sfrappole, cioffe, cenci e via dicendo non sono sinonimi, ma geosinonimi. Questo significa che sono sempre sinonimi, ma legati a un luogo specifico e vengono raccolti in appositi atlanti linguistici. C’è addirittura una scienza che li studia, l’onomasiologia.

Tornando alle nostre chiacchiere, i suoi tanti nomi sono legati soprattutto alle forme che assumono nelle varie regioni italiane. Gli ingredienti, come abbiamo ribadito più volte, sono sempre gli stessi, con eventuali componenti alcoliche o ‘cioccolatose’ che vengono aggiunte in base a tradizioni locali o all’estro del pasticcere di turno. Prendiamo a esempio la Toscana: si chiamano cenci perché sono piatte. E ancora, a Brescia le chiamano lattughe perché somigliano a una foglia di insalata.

Alcuni studiosi, però, portano avanti un’altra motivazione che vale la pena evidenziare perché, in un certo senso, si rifà alla leggenda napoletana della regina Margherita di Savoia. Il termine chiacchiera viene comunemente utilizzato per indicare i pettegolezzi o un discorso vuoto oppure privo di fondamento. Solitamente, il dolce carnascialesco non è farcito, quindi potrebbe essere una bugia o una "fregnaccia", altri termini utilizzati per indicare le frittelline. Se colleghiamo il significato italiano della parola al vuoto dei dolcetti e pensiamo alle ciarle frivole della sovrana napoletana e allo spirito del Carnevale, ecco che arriviamo al motivo per cui le chiacchiere si chiamano così.

Comunque, a prescindere dalle origini e dalla storia del suo nome, una cosa è certa: nel periodo carnascialesco, questi dolci, così come le castagnole e tutte le altre prelibatezze che si mangiano durante la festività non possono mancare.

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