Liquori italiani della tradizione
I liquori italiani stanno vivendo una seconda giovinezza e non saranno più solo la degna conclusione di un pasto: da prodotto vintage a fenomeno di tendenza dietro al bancone dei cocktail bar
Dal gusto un po’ retrò, il carrello dei liquori ha abitato le case degli italiani tra gli anni ’70 e ’80 prima di tornare in auge e caratterizzare gli spazi gourmet al ristorante. Monito per una degna conclusione di un buon pasto, i liquori del nostro Paese rappresentano un vero e proprio patrimonio tramandato per generazioni. Codificato come classico ammazzacaffè dopo una grande abbuffata, l’amaro inteso come rituale digestivo si è affermato nella prima metà del ‘500 alla corte di Caterina De Medici, la quale attinse dall’arte liquoristica francese per mettere a punto un prodotto made in Italy. Prima dell’affermazione dell’industria liquoristica, l’amaro per digerire è rimasto un bene di lusso fino al XVII secolo.
Gli amari fanno digerire?
Il termine amaro deriva proprio dalla pratica d’infusione di erbe, radici, spezie ma anche agrumi nell’alcol e la condizione necessaria affinché svolga la sua funzione da fine pasto è che non superi i 30° alcolici. Secondo le credenze popolari il gusto amaro in bocca stimola il metabolismo e soprattutto la percezione di benessere fisico. Sebbene non esista una prova scientifica del suo potere digestivo, tra le erbe officiali più utilizzate per le loro proprietà affini c’è la china con proprietà antibatteriche, la genziana che sappiamo sconfiggere un batterio responsabile delle infezioni cutanee, e la corteccia di angostura antitubercolotica.
Amari italiani da bere almeno una volta nella vita
Sempre più amato anche dalla mixology per il suo potere amaricante, l’amaro è un elemento molto versatile nella preparazione dei cocktail e i più indicati sono quelli mediterranei. Può essere il caso di un Negroni in cui l’amaro sostituisce le note del bitter e quelle del Vermouth oppure di un Manhattan dove al posto dell’angostura sta bene un Fernet Branca per un effetto quasi balsamico. Se per anni sono stati considerati prodotti vintage, gli amari stanno vivendo la loro seconda giovinezza come emerge da alcuni dati Nielsen. Tra ottobre 2020 e settembre 2021 c’è stato un incremento del 7,3% del loro consumo rispetto all’esatto periodo precedente. Tra le eccellenze italiane rispolverate nelle vetrine delle nonne, l’Amaretto liquore aromatico lombardo nato a Saronno e caratterizzato dal sapore di mandorla amara. Il Limoncello, forse il liquore italiano più famoso nel mondo, che rimanda subito ai profumi della Costiera Amalfitana e come suggerisce il nome si ottiene macerando nell’alcol le bucce di limone non trattate (ecco la ricetta per farlo in casa). Con la Liquirizia ci spostiamo in Calabria, la patria di questo ingrediente pregiato che molti chiamano "oro nero" calabrese e che in questo caso utilizza la polvere dell’omonima radice. Il Mirto è, invece, identificativo della Sardegna e spiega subito la sua origine che per la macerazione nell’alcol utilizza le bacche della pianta aromatica tipica della macchia mediterranea. Meno scontata potrebbe essere la provenienza del Nocino, specifica dell’Emilia Romagna, un liquore che si ottiene lasciando i malli di noce in infusione prima che si indurisca il guscio. Odi et amo il rapporto di molti con la Sambuca, ottenuto dalla distillazione di anice stellato a cui si aggiungo i fiori di sambuco e forse è questo il più democratico degli amari citati. Quando viene servito si chiede sempre: "liscio o come ammazzacaffè?".