Formaggi a pasta fusa: cosa sono e perché è meglio mangiarli raramente
I formaggi a pasta fusa sono una gioia per il palato, ma non per l'organismo, specialmente se si consumano quotidianamente.
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Da oltre cento anni, i formaggi a pasta fusa sono entrati nella dieta di gran parte della popolazione mondiale. Alcuni li consumano senza sapere che si chiamano così, mentre altri ne sono consapevoli. Quasi nessuno, però, si pone una o più domande sui valori nutrizionali, non tanto da un punto di vista calorico, ma sul piano della salute dell’intero organismo. Vediamo, nello specifico, cosa sono e perché è meglio mangiare questi prodotti caseari solo di tanto in tanto e sempre senza esagerare con le quantità.
- Tutti li mangiano, ma pochi sanno cosa sono i formaggi a pasta fusa
- Formaggi a pasta fusa: perché è meglio mangiarli raramente
Tutti li mangiano, ma pochi sanno cosa sono i formaggi a pasta fusa
Il settore dei formaggi, nonostante il successo dei prodotti quasi identici in versione vegan, continua ad avere un ruolo importante nel settore del food. D’altronde stiamo parlando di un alimento estremamente versatile, che può essere mangiato ‘solo’, nella sua purezza, oppure inserito tra gli ingredienti di ogni ricetta: dagli antipasti ai dolci, passando per i primi e i secondi piatti. Neanche la battaglia di alcuni contro il latte e i latticini, visti come cibi quasi tossici, è servita a scoraggiare i consumatori dal portarli in tavola.
Per onor di cronaca, è bene sottolineare che, secondo l’ultimo report della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, i dati oggi disponibili non permettono di stabilire con certezza che alimenti di questo tipo aumentino il rischio di tumori. Anzi, alcuni studi dimostrano che possono addirittura avere un effetto protettivo. Queste asserzioni, però, non possono essere applicate ai formaggi a pasta fusa, o semplicemente formaggi fusi. Stiamo parlando di tutti quei prodotti a base di formaggio e altri ingredienti caseari non fermentati e mescolati con emulsionanti. Qualche esempio? Le sottilette, il cheddar, l’emmenthal, i formaggini e l’edam.
Quanti prestano molta attenzione all’alimentazione, non tanto per i chili di troppo quanto per la salute in generale, sanno benissimo che questo tipo di formaggi vanno consumati con estrema moderazione. Tutti gli altri, già dalla breve descrizione fatta poco sopra, dovrebbero drizzare le antenne e acquistarli di tanto in tanto. Parliamo, infatti, di cibi processati, che per arrivare al prodotto finito subiscono una lavorazione non indifferente e, come se non bastasse, vengono mescolati ad altri ingredienti, come: oli vegetali, sale, coloranti alimentari e zucchero.
Come suggerisce il nome, i formaggi a pasta fusa si ottengono dalla fusione a caldo di un solo formaggio o di più varietà di formaggi tramite l’aggiunta di altri componenti, tipo: acqua, latte in polvere, grassi, conservanti, emulsionanti e polifosfati. Ovviamente, se si vogliono ottenere i formaggini si utilizzano determinati additivi, altri per creare le sottilette e via dicendo. Sono proprio gli ingredienti in più a dare forme, colori e sapori diversi. Da un punto di vista salutare, però, il risultato non cambia: le proprietà nutrizionali sono tutt’altro che entusiasmanti.
Ma facciamo un passo indietro al 1911, quando l’industriale svizzero Walter Gerber lanciò sul mercato il primo formaggio fuso. Il successo non è stato immediato, soprattutto perché la ricetta non era ancora perfetta sul piano della conservabilità, per cui bisogna attendere il 1950 e spostarsi negli Stati Uniti d’America per arrivare all’exploit a livello mondiale. Il merito è stato di James Lewis Kraft che ideò le Kraft Singles, arrivate in Italia con il nome Sottilette. Da oltreoceano, questi prodotti caseari si sono diffusi in tutto il Pianeta, conquistando una platea sempre più ampia.
Il segreto del successo di cheddar & Co.? La versatilità e la capacità di cuocere in modo uniforme, distribuendosi su tutta la superficie. Inoltre, a differenza della mozzarella fresca, non rilasciano acqua e non vanno a bagnare eccessivamente l’alimento su cui vengono adagiati, dal pane alla pizza. Ovviamente, c’è anche lo zampino del gusto, studiato proprio per arrivare al cosiddetto bliss point.
Formaggi a pasta fusa: perché è meglio mangiarli raramente
I formaggi fusi sono deliziosi, inutile mentire. Riescono a rendere squisita ogni pietanza, anche un semplice toast. Basta immaginare una pizza rustica calda che fila solo a tagliarla per avvertire l’acquolina in bocca. Per nostra sfortuna, però, non sono alimenti sani e il motivo è legato proprio alla produzione. A differenza dei cibi caseari freschi, come ricotta o mozzarella, prevedono l’aggiunta di diversi ingredienti, vengono sottoposti a processi in più per arrivare al prodotto finale e sono a lunga conservazione.
Pensiamo, ad esempio, alla loro creazione, che vede come prima cosa l’unione di una percentuale di materia secca ottenuta da una o più varietà di formaggi (i più utilizzati sono cheddar, emmenthal, groviera ed edam, grattugiati o polverizzati) e altri ingredienti lattiero-caseari. Questo composto viene poi lavorato con una tecnica che si chiama fusione a caldo, nel corso della quale si aggiungono svariati elementi: dai sali fondenti agli emulsionanti (solitamente fosfato di sodio, fosfato di potassio, tartrato o citrato), passando per coloranti, aromi, spezie, erbe, funghi, prosciutto e chi più ne ha ne metta.
Ma non è finita qui. Dopo la fusione a caldo, in cui il formaggio e tutte le altre aggiunte vengono lavorate fino a completa fusione, si passa alla pastorizzazione e al riposo nello stampo, più o meno prolungato in base alla forma che si vuole ottenere: quadrato per le sottilette, triangolo per i formaggini e via dicendo. Il tempo di stagionatura, se così vogliamo chiamarla, consente una nuova solidificazione ed è proprio per questa particolare preparazione che in etichetta si potrebbero leggere altre diciture invece che "formaggio", quali: "prodotto a base di formaggio" o "formaggio spalmabile". La nomenclatura cambia anche in base alla quantità di formaggio e materie grasse (del latte e non) presenti nell’alimento finale.
È bene sottolineare che parliamo di alimenti a lunga conservazione che hanno un costo molto, molto più basso rispetto ad un prodotto caseario fresco. La differenza di prezzo è data sia dalla materia prima, che spesso non è di prima scelta, che dalla produzione in massa. Quanto detto finora dovrebbe bastare per comprendere i motivi per cui i formaggi a pasta fusa andrebbero consumati raramente e mai in grandi quantità. Sia chiaro, nessuno vuole demonizzare sottilette & Co., che per la buona riuscita di alcune ricette sono addirittura indispensabili, ma è bene essere consapevoli dei pro e dei contro dei cibi che si portano in tavola. Non dimenticate mai che una dieta varia, sana ed equilibrata, magari personalizzata da un nutrizionista o un dietologo competente, è sempre la scelta più saggia.