Cosa si mangia a Santo Stefano
Dopo gli sfarzi del Natale, il menu di Santo Stefano sarà una passeggiata: tra avanzi dei giorni di festa e tipicità locali ecco i piatti più mangiati nel giorno del 26 dicembre
Dopo che la cena della Vigilia è passata e il pranzo di Natale è stato digerito, arriva puntale come ogni anno il giorno di Santo Stefano. Il 26 dicembre si festeggia il primo protomartire del Cristianesimo nel Nuovo Testamento e in Italia è un giorno di festa in più dal 1947. Una buona occasione per continuare a ritrovarsi intorno alla tavola, solitamente utilizzando gli avanzi dei menu precedenti perché, tradizione vuole, non bisognerebbe cucinare nulla. Così, a seconda delle regioni il bis è di ravioli, tortellini, passatelli, minestre, carni arrostite. Inoltre, lo scorso anno un’indagine Coldiretti/Ixè aveva dimostrato che il 78% degli italiani il giorno di Santo Stefano condivide le rimanenze di Natale, contro un 10% di famiglie che congela tutto in attesa dei tempi di magra. L’altro 11% non conta esuberi e solo l’1% dona il plus in beneficenza. Un no-stop a tavola di 72 ore che trova anche le sue peculiarità da Nord a Sud.
La tavola di Santo Stefano, regione per regione
In Puglia i ricettari sono ispirati dagli involtini di melanzane alla salentina con mortadella, pomodori e capperi mentre in Emilia Romagna vengono serviti i tortelli di zucca in un intingolo di burro e salvia. Sempre sulle tavole emiliane capita di mangiare un secondo più gourmand come il petto d’anatra e proprio la carne di manzo, in particolare il brasato, è molto apprezzata nel Nord. In Lunigiana sono, invece, tipici i testaroli, una delle più antiche pastasciutte. Scendendo a Napoli si raccoglie tutto il cibo in esubero mettere insieme ricette squisite come l’insalata di polpo, la minestra maritata, ovvero un misto di verdure di stagione in brodo di pollo, e per non perdere l’allenamento pizza fritta con la ricotta e frittelle di cavolfiore; poi ancora, sartù di riso, pasta al forno, senza farsi mancare i secondi della tradizione come il capitone fritto o l’insalata di rinforzo e concludere con i dolci, specialmente struffoli, mustaccioli e roccocò. L’usanza romana è la stracciatella, un pasto leggero e nutriente che non c’entra nulla con l’omonimo gusto gelato, e di freddo non ha proprio nulla. Si tratta, infatti, di una minestrina calda con pochissimi ingredienti: solo brodo, uova, parmigiano e noce moscata da sbattere energicamente con la frusta finché non diventa ‘n malloppo.